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Le imprese e lo Stato azionista: a distanza di 20 anni l’impresa pubblica trova un nuovo ruolo?

di Massimo Mucchetti, Fulvio Coltorti
Settembre 2017 - n. 9

Negli anni Novanta la ritirata dello Stato dall'economia veniva considerata la premessa per uno sviluppo più forte, maggiore efficienza, meno corruzione. Nel 2017, un quarto di secolo dopo la trasformazione degli enti pubblici economici in Spa, lo Stato ritorna, ma a questo ritorno, sottolinea Massimo Mucchetti, giornalista e senatore, non corrisponde una rilettura critica delle privatizzazioni e un pensiero strategico per il futuro, e si pongono problemi di finalità, di regole e di limiti.

Di contro, lo sviluppo italiano nell'ultimo dopoguerra è stato caratterizzato dalla crisi delle grandi imprese private, derivata da errori gestionali, dalla preferenza accordata alle operazioni finanziarie, dagli insufficienti livelli di innovazione derivanti da basse spese in ricerca e sviluppo, dall'emergere di nuove medie imprese. Come rilevato da Fulvio Coltorti, per molti anni responsabile studi di Mediobanca, al declino della grande impresa privata ha corrisposto una resistenza delle imprese pubbliche per le quali si pone un problema di utilizzo conveniente, nel contesto di politiche attive di sviluppo, di innovazione tecnologica e di una governance efficiente da parte dello Stato.

Due analisi critiche che conducono ad una medesima conclusione: per un proficuo ritorno allo Stato azionista è necessario limitare la "discrezionalità opaca" dell' "azionista politico occulto" attraverso una adeguata accountability e una nuova organizzazione nella quale lo Stato figuri come garante di gestioni efficienti e di sviluppi locali volti a preservare interessi generali quali: il presidio delle frontiere tecnologiche del domani, la difesa della sicurezza nazionale, il sostegno delle reti fisiche e virtuali dalle quali dipende la competitività del sistema Italia.